sabato 27 ottobre 2012

Galliano e Klimt: i Re dell'oro insieme sulla passerella.


Al di là degli avvenimenti che, nel febbraio dell’anno scorso, hanno portato John Galliano ad essere estromesso dal ruolo di direttore creativo che ricopriva fin dal 1996 presso Dior, è innegabile che alcune delle collezioni da lui disegnate per la Maison francese siano rimaste ben impresse nell’immaginario collettivo di addetti ai lavori, fashion lovers e persino dei “profani” sia per l’originalità dei modelli e l’impeccabile fattura, sia per la suggestività dei motivi decorativi e la straordinaria commistione di arte e moda.

Ed è alla collezione Haute Couture Spring 2008 che si deve fare un salto indietro per trovare uno degli esempi più significativi di questa commistione: prendendo le mosse dalla figura di Virginie Amélie Avegno Gautreau (meglio nota come Madame X, la giovane socialite che, divenuta famosa nell’alta società parigina per la sua avvenenza e per gli scandali amorosi che la riguardarono, fu ritratta da John Singer Sargent nel 1884) e aggiungendo pettinature eccessive, decorazioni opulente e ricercate, gioielli ispirati alla tradizione orafa e abiti voluminosi mutuati dai capolavori pittorici di Gustav Klimt, Galliano ha realizzato uno show e una collezione decisamente sopra le righe.
In essi, la musa ispiratrice (personificata da modelle ancheggianti sopra tacchi vertiginosi, ammantate in tessuti sgargianti e ) si è spogliata degli elementi che l’avrebbero confinata nel solo Ottocento per abbracciare un’allure dal sapore Sixties eppure senza tempo, rispecchiando perfettamente la sua natura di donna libera, audace, capace di vedere oltre la sua epoca.


Gustav Klimt (1862 – 1918) fu uno degli artisti di punta della Secessione Viennese e colui il quale fuse insieme, portandoli alle loro più estreme conseguenze, due fenomeni dell’arte del tempo: il Simbolismo e l’Art Nouveau. All’inizio della sua carriera, il tratto distintivo del suo disegno era la sovrabbondanza di ogni elemento, in un certo senso quasi barocca. Con il tempo, però, il suo stile mutò radicalmente, portando Klimt a prediligere un linearismo essenziale, benché sempre accompagnato da uno spiccato gusto decorativo, derivatogli anche dal lavoro del padre orafo.
Le opere di Klimt, a partire dalla Giuditta I del 1901, si caratterizzano tutte per una nota di erotismo (latente o palese che sia), la quale tuttavia non risulta mai fuori luogo, e per la tendenza a creare una cosiddetta “opera d’arte totale” (infatti la stessa cornice entra a far parte del dipinto).

Le due opere klimtiane (l’una risalente alla prima svolta stilistica della sua carriera, l’altra alla seconda che certamente fu influenzata dalla presenza di artisti come Schiele e Kokoschka alla Kunstchau) raffigurano Giuditta, l’eroina che, per liberare la sua città dall’assedio di Oloferne, sedusse quest’ultimo e lo uccise decapitandolo. Molte sono le opere che questi due dipinti hanno come precedenti (tra le altre, quelle di Donatello, Botticelli e Caravaggio), eppure in essi si colgono dettagli innovativi, quali l’abbigliamento dell’eroina (Felix Salten scrisse riguardo la Giuditta I: “Ci si immagina questa Giuditta vestita con un abito di paillettes”) e l’andamento curvilineo del corpo della II che sembra richiamare quello di un serpente infido. Dettagli che Galliano non poteva lasciarsi sfuggire e che, anzi, ha rielaborato magistralmente creando abiti dal taglio innovativo. I suo modelli, inoltre, si caricano di gioielli stilizzati (ma sempre preziosi e ricercati) come il collarino di Giuditta I) e vengono completati da pettinature ai limiti della fisica (chiaro omaggio ai capelli della II).

Il Ritratto di Adele Bloch-Bauer I è uno dei più esuberanti che Klimt abbia mai realizzato, in esso l’oro assume, da un lato, le caratteristiche del mosaico (lo sfondo infatti non è più unitario, ma sembra quasi un pulviscolo d’oro), dall’altro, la ricchezza e la definizione dei più preziosi gioielli bizantini (come si nota dalle decorazioni geometriche dell’abito e della tappezzeria, dal collarino finemente sbalzato e dai cuscini che sembrano incorniciare il volto di Adele come fossero un’aureola profana). Il Ritratto di Adele Bloch-Bauer II si colloca invece, come la già vista Giuditta II, in una fase successiva della produzione klimtiana in cui l’onnipresenza dell’oro sembra lasciare il posto alla restituzione dei caratteri di eleganza e femminilità di una donna dei suoi tempi, abbigliata alla moda. Donna che, tuttavia, richiama la componente ornamentale tanto cara a Klimt perché essa, raffigurata in una posa statica, sembra quasi essere una colonna classica sormontata da un enorme capitello, qui rappresentato dal cappello a tesa larga, il quale permette un ritorno, seppur molto limitato, alla prospettiva e alla tridimensionalità.
Proprio questo cappello dall’aria ingombrante (quasi un paralume o un piatto rovesciato) e quelle decorazioni (a forma di triangoli, rettangoli ed esedre), coniugati a volumi mastodontici e linee morbide, sono stati ripresi da Galliano per la sua collezione d’Alta Moda.

Il bacio rappresenta, probabilmente, l’opera più nota e apprezzata di Klimt. Frequenti erano all’epoca le rappresentazioni di baci o abbracci, tuttavia le figure coinvolte in questi gesti d’affetto avevano atteggiamenti più vampireschi (come se l’uno si avventasse sull’altra o viceversa) che romantici. L’attesa invece è un particolare tratto dal fregio per la sala da pranzo del Palazzo Stoclet a Bruxelles e raffigura appunto l’attesa che si incarna nella figura di una danzatrice egiziana, con il volto posto di profilo e gli occhi, dal taglio allungata, rivolti in lontananza. Tutto in questa donna diventa decorazione e le decorazioni geometriche stesse si presentano istoriate, quasi addolcite dai riccioli dell’albero della vita o da occhi stilizzati.
In entrambe le opere è notevole l’accostamento di motivi ornamentali prettamente geometrici (come la veste a rettangoli dell’uomo nel Bacio o i triangoli della danzatrice dell’Attesa) a quelli più morbidi (come i rami a spirale che intervallano la stampa dell’abito dell’uomo o dell’Attesa) e arrotondati (che sembrano richiamare bouquet di fiori stilizzati (come nell’abito indossato dalla donna de Il bacio). Tale accostamento non è di certo sfuggito all’occhio attento di Galliano. Si noti infatti l’uso che il talentuoso stilista ne ha fatto nei quattro modelli sopra riportati, in particolare in quello viola in alto a destra.


Scritto da Virna per Moda e Costume.








venerdì 19 ottobre 2012

“Ig Nobel: Scienziati pazzi sotto giudizio”. L’autunno porta il sorriso ad Harvard.


Il premio Ig Nobel fu fondato dallo scienziato dell’università di Harvard March Abrahams, nel 1991, come parodia del più prestigioso premio Nobel. La giuria dell'Ig Nobel (che letto tutto attaccato suona proprio come "ignobile"), composta di un gruppo di vincitori del premio Nobel, seleziona ogni anno i vincitori tra miriadi di candidature. “Scegliere è un inferno, riceviamo decine e decine di segnalazioni e spulciamo centinaia di riviste scientifiche”, spiega lo stesso Abrahams.
Alla fine del mese scorso sono stati assegnati i premi di questa ventiduesima edizione.
Il premio per la pace viene conferito alla
società russa SKN Company, ideatrice di una tecnologia che sarebbe in grado di convertire in diamanti le munizioni in disuso. Vince il premio per la psicologia un’equipe di studiosi, due olandesi e un peruviano, che hanno dimostrato come piegando ripetutamente la testa verso destra e verso sinistra mentre si guarda la Torre Eiffel, questa sembri più piccola. Il premio per l'anatomia è andato a Frans de Waal e Jennifer Pokorny per aver scoperto che gli scimpanzé possono riconoscere i loro simili dalla fotografia del loro posteriore, mentre il premio per la medicina è stato assegnato ai francesi Emmanuel Ben-Soussan e Michel Antonietti, per la scoperta di metodi che riducono, durante le colonscopie, il rischio di ‘esplosione’ del paziente.
Altri riconoscimenti sono andati a quattro statunitensi che hanno studiato l’attività cerebrale nei salmoni morti, e a uno svedese,
Johan Pettersson, che ha indagato sul perché agli abitanti di un paese svedese, Anderslov, i capelli diventino verdi, una volta entrati nelle proprie abitazioni.
Nonostante tutti i premi suscitino grande curiosità, il più atteso è senza dubbio quello per la fisica. Il riconoscimento per questa disciplina è andato a quattro studiosi, due inglesi e due americani, che hanno studiato l’equilibrio delle forze agenti sui capelli pettinati a coda di cavallo. Sempre nel campo della fisica, più specificatamente nell’ambito della fluidodinamica, altra scoperta meritatamente premiata è stata quella di
Krechetnikov e Mayer, che hanno cercato di dare una risposta al perché il caffè dentro una tazza rischia di fuoriuscirne se la teniamo in mano mentre camminiamo. L’analisi delle oscillazioni del liquido, comparata all’andatura della camminata della persona, hanno constatato che questo fenomeno avviene solamente se il nostro passo non è regolare.
Per finire, bisognerebbe stare attenti a sottovalutare del tutto queste scoperte ’ ignobili’, ma sarebbe opportuno rifletterci adeguatamente: molto più spesso di quanto si pensi scoperte fondamentali per il progresso dell’uomo sono state compiute mentre si cercava di andare in un’altra direzione, quasi per caso; è vero, le scoperte sopra citate fanno sorridere, ma in campo scientifico, Popper ce lo insegna, non è detta mai l’ultima parola.


Scritto da Lorenzo per la sezione Scienza e Tecnologia.

venerdì 5 ottobre 2012

I SEE LONDON, I SEE SAM’S TOWN.


Una giornata soleggiata come molte, con poche nuvole, una temperatura favorevole, aria fresca  non sempre porta alla pace dei sensi. Succede spesso invece che è proprio il clima non favorevole, quello fastidioso, diremmo, che provoca all’uomo uno sconvolgimento, un  cambiamento interiore che lo obbliga a riscoprire se stesso, a doversi adattare alla nuova condizione . Viaggiare in fin dei conti è proprio questo, vivere “alla buona”, adeguarsi all’inconsueto,  perdersi. Non so se è capitato mai a qualcuno di avere a cuore un luogo, una “casa spirituale” che non necessariamente deve essere fisica, ma un posto in cui le cose vadano semplicemente meglio, in cui si stacchi da tutto per raggiungere un po’ di serenità. Questo è ciò che in parte mi succede quando scendo dall’aereo e atterro a Londra. L’aria rigida, l’odore di umido, la pioggia, il grigiastro entrano nella mia quotidianità come se fossero stati sempre là e mi rassicuro perché capisco di essere ritornata nella mia “Sam’s Town”. Immaginiamo di prendere  l’autobus, il classico Terravision pieno di italiani, dall’aeroporto fino a Liverpool Street, e iniziamo a guardarci intorno: le strade, immense, descrivono linee continue che tagliano un territorio libero, quasi incontaminato. Da lì a poco sono visibili i primi edifici, le sensazioni sono diverse: le strade ultra moderne ci accompagnano alla periferia, non uno dei  grandi pregi di Londra ovviamente, e tuttavia estremamente caratteristica. In effetti, è quel senso di perdizione, di angoscia mista a curiosità che fa dei quartieri come East End, ben noto come il quartiere di Jack lo Squartatore, Camden,  Ealing mete incredibilmente affascinanti. Ci addentriamo, le architetture passano dalla precarietà alla stabilità nel giro di pochi metri, sono maestose, quasi ci deridono per la loro linearità e purezza. Intorno a noi centinaia di persone camminano velocemente come alla ricerca di qualcosa. Londra è viva e in continuo cambiamento.
La capitale britannica  rappresenta ad oggi una delle metropoli più innovatrici dal punto di vista artistico e tecnologico, nonché la prima piazza borsistica del mondo e la città più visitata dal turismo internazionale. L’alloggio a Londra dipende un po’ dalle finanze che si hanno a disposizione, ma sicuramente centrali sono i quartieri  di  Hide Park/Nottingh Hill e King Cross, che hanno un altissimo rapporto qualità-prezzo, e sono nondimeno collocazioni privilegiate per raggiungere il centro cittadino.
Le zone da visitare sono tantissime.  Sinceramente credo che la scelta di recarsi in un luogo piuttosto che in un altro dipenda da noi stessi e dai nostri interessi. Ma chi ama l’arte non può non andare a visitare la National Gallery a Trafalgar Square, contenente  una ricca collezione composta da più di 2.300 dipinti di varie epoche, dalla metà del XII sec al secolo scorso, il British Museum,  di carattere universalistico grazie alla collezione di artefatti rappresentanti le culture del mondo antiche e moderne, il Victoria and Albert Museum (veramente immenso), il museo di arti decorative più grande del mondo ospitante opere provenienti da tutti i campi artistici tra cui scultura, mobilia, metallurgia, fotografia. E la Tate Modern, per me, per chi ama l’arte moderna, un rifugio spirituale. Londra come ho già detto è un’ antitesi, un dualismo tra il vecchio e il nuovo, tuttora ancorata alla tradizione ma speranzosa di staccarsene. Questo aspetto credo sia visibile in particolare nella sua architettura: tenendo conto che dopo l’incendio del 1666 della vecchia città è rimasto ben poco, girando è possibile ammirare un  mix di edifici in stile georgiano, di cui l’architetto cardine è sicuramente John Nash, vittoriano, con A. W. Pugin, eduardiano e di età contemporanea . Ma è proprio tra gli storici palazzi londinesi, a mattoni rossi e tetti scuri, che si intravedono le nuove opere di architettura moderna: il Gherkin  (“il cetriolone”), situato all’interno del quartiere Barbican, diventato parte dello skyline della città ormai da tempo, il Lloyd's building di Rogers, la zona delle Docklands, ex centro portuale ora cuore economico della città.
Non posso parlare di Londra senza fare un piccolo accenno alla musica inglese. Il Brit-pop, l’Indie rock, la Dubstep e  il Trip Hop sono solo alcuni dei generi musicali sviluppatisi in Inghilterra, che con il suo mix culturale  è un'inesauribile fonte di ispirazione per la creazione di nuove tendenze: le generazioni di oggi si riconoscono nelle canzoni dei propri artisti  preferiti, che spesso descrivono la società contemporanea e i suoi difetti.
Quando penso a Londra però, togliendo l’eleganza, lo stile, la tradizione, il rigore formale come se di un quadro andassi ad asportare la tempera, i colori, le sfumature  e ne sopravvivesse solo lo schizzo a matita, cos’è che rimarrebbe? La mia Sam’s town probabilmente.

“You know
I see London, I see Sam's Town
Holds my hand and lets my hair down
Rolls that world right off my shoulder
I see London, I see Sam's Town.”
                                                                 

  (“Sam’s Town” The Killers, 2006)


Scritto da Maddalena.

A YEAR HAS PASSED


A YEAR HAS PASSED
 //a un anno dalla scomparsa//
Siate coraggiosi, canticchia in giro Steve Jobs. Canta, in verità, con voce da tenore. Ai cuori delle persone. Lo scandisce forte in pubblico (famoso, e romantico, resta il suo discorso a Stanford, 2005). Facile, tutto sommato, far la morale ai laureandi di una prestigiosa università, per chi a cinquantanni ha sconfitto la prima manifesazione di un tumore raro (e curabile) al pancreas, fondato due società, Apple e NeXT, rilevato Pixar, reso Pixar il colosso che conosciamo. Amato una moglie soltanto. Avuto dei figli. Rimane “facile” lo stesso monito in bocca a un ragazzo di diciottanni che lascia il Reed College dopo un semestre di corsi perchè non sa che fare di sè? O a un imprenditore di trenta, cacciato, come una meteora impazzita, dalla propria società? E ancora, a un uomo spaventato a morte davanti alla certezza di...morire? Allora mi riprometto di non demonizzare, di non mitizzare. Del resto Jobs è stato sì un impresario. Ma, pure, un inventore. Un giocatore. D’azzardo. É giusto appiattire una figura complessa solo perchè diventi consumabile? O ingigantirla, per farla bellissima e irraggiungibile? Così son nati gli dei, a mio parere: dalla Dea Immaginazione. 
Siate coraggiosi. Trovate il coraggio di ascoltare la vostra vocazione. Prima ancora, trovate il coraggio di cercarla. Dopo ancora, trovate il coraggio di perseguirla. Di questo parla il visionario, e ne parla per esperienza personale. Leggendo e vedendo di un uomo di cinquantasei anni accecato dalla passione, al capolinea di un’esistenza fervida , ho capito che la mezza età esiste solo per chi vive a metà tutta la vita. La neoplasia al pancreas si riformò nel 2009, e la morte bussò di nuovo, questa volta nel 2011, alla porta di un tizio con le scarpe da ginnastica e gli occhiali rotondi. Poco importava che nell’ ’84 si fosse inventato il primo computer ad interfaccia grafica con icone e mouse.  E che un lustro più tardi avesse partorito un modo inconcepito di fare cartoni (Toy Story 3D, 1991). La morte lo chiamò a sè come un qualunque altro uomo, e Jobs, molto poco umanamente, disse che capiva. Di più, che questa volta la stava aspettando. Era tornato nel ’96 alla sua Apple, con il ruolo di CEO (portandosi dietro i software di NeXT). Da allora ad oggi il fatturato è banalmente schizzato alle stelle, attraverso la Via Lattea di iMac iPod MacBook iPhone iPad. Passando per le rivoluzioni iTunes e iCloud.  Del resto Steve, più di ogni altra cosa, fu un pensatore. Un sognatore. Un costruttore dei sogni che pensava. Leggevo sul Sole di qualche mattina fa che ogni azione Apple vale circa 800 dollari. Un imprenditore dei sogni che ha costruito dopo averli pensati. 
Senta, me lo dice un aggettivo che le fa venire in mente Steve Jobs? La gente, a questa domanda, per la maggior parte risponde “creativo”, “incosciente”, “ingegnoso”, “ricco”, “geniale”, “ma chi? Quello di Apple?”, “fortunato”...”sfortunato”. Io rispondo INDIPENDENTE, e rispondo con stralci a me cari, particolarmente cari. Perchè il discorso a Stanford, da buona ventenne piena di incanti ambizioni e, insieme, immensa paura di relizzarli, ha stregato anche me.

"...Non era tutto così romantico al tempo (subito dopo aver lasciato l’università, si capisce). Non avevo una stanza nel dormitorio, perciò dormivo sul pavimento delle camere dei miei amici; portavo indietro i vuoti delle bottiglie di coca-cola per raccogliere quei cinque cent di deposito che mi avrebbero permesso di comprarmi da mangiare; ogni domenica camminavo per sette miglia attraverso la città per avere l’unico pasto decente nella settimana presso il tempio Hare Krishna. Ma mi piaceva. Gran parte delle cose che trovai sulla mia strada per caso o grazie all’intuizione in quel periodo si sono rivelate inestimabili più avanti. Lasciate che vi faccia un esempio: il Reed College a quel tempo offriva probabilmente i migliori corsi di calligrafia del paese. Nel campus ogni poster, ogni etichetta su ogni cassetto erano scritti in splendida calligrafia. Siccome avevo abbandonato i miei studi ‘ufficiali’e pertanto non dovevo seguire le classi da piano studi, decisi di seguire un corso di calligrafia per imparare come riprodurre quanto di bello visto là attorno. Ho imparato dei caratteri serif e sans serif, a come variare la spaziatura tra differenti combinazioni di lettere, e che cosa rende la migliore tipografia così grande. Era bellissimo, antico e così artisticamente delicato che la scienza non avrebbe potuto ‘catturarlo’, e trovavo ciò affascinante.Nulla di tutto questo sembrava avere speranza di applicazione pratica nella mia vita, ma dieci anni dopo, quando stavamo progettando il primo computer Machintosh, mi tornò utile. Progettammo così il Mac: era il primo computer dalla bella tipografia. Se non avessi abbandonato gli studi, il Mac non avrebbe avuto multipli caratteri e font spazialmente proporzionati. E se Windows non avesse copiato il Mac, nessun personal computer ora li avrebbe...Certamente non era possibile all’epoca ‘unire i puntini’e avere un quadro di cosa sarebbe successo, ma tutto diventò molto chiaro guardandosi alle spalle dieci anni dopo. Vi ripeto, non potete sperare di unire i puntini guardando avanti, potete farlo solo guardandovi alle spalle: dovete quindi avere fiducia che, nel futuro, i puntini che ora vi paiono senza senso possano in qualche modo unirsi nel futuro. Dovete credere in qualcosa: il vostro ombelico, il vostro karma, la vostra vita, il vostro destino, chiamatelo come volete… questo approccio non mi ha mai lasciato a terra, e ha fatto la differenza nella mia vita... Ogni tanto la vita vi colpisce sulla testa con un mattone. Non perdete la fiducia, però. Sono convinto che l’unica cosa che mi ha aiutato ad andare avanti (dopo la cacciata da Apple nell’ ’85) sia stato l’amore per ciò che facevo. Dovete trovare le vostre passioni, e questo è vero tanto per il/la vostro/a findanzato/a che per il vostro lavoro. Il vostro lavoro occuperà una parte rilevante delle vostre vite, e l’unico modo per esserne davvero soddisfatti sarà fare un gran bel lavoro. E l’unico modo di fare un gran bel lavoro è amare quello che fate. Se non avete ancora trovato ciò che fa per voi, continuate a cercare, non fermatevi, come capita per le faccende di cuore, saprete di averlo trovato non appena ce l’avrete davanti. E, come le grandi storie d’amore, diventerà sempre meglio col passare degli anni. Quindi continuate a cercare finché non lo trovate. Non accontentatevi... Quando ero giovane, c’era una pubblicazione splendida che si chiamava The whole Earth catalog, che è stata una delle bibbie della mia generazione. Fu creata da Steward Brand, non molto distante da qui, a Menlo Park, e costui apportò ad essa il suo senso poetico della vita. Era la fine degli anni Sessanta, prima dei personal computer, ed era fatto tutto con le macchine da scrivere, le forbici e le fotocamere polaroid: era una specie di Google formato volume, trentacinque anni prima che Google venisse fuori. Era idealista, e pieno di concetti chiari e nozioni speciali...Steward e il suo team pubblicarono diversi numeri di The whole Earth catalog, e quando concluse il suo tempo, fecero uscire il numero finale. Era la metà degli anni Settanta e io avevo pressappoco la vostra età. Nella quarta di copertina del numero finale c’era una fotografia di una strada di campagna nel primo mattino, del tipo che potete trovare facendo autostop se siete dei tipi così avventurosi. Sotto, le seguenti parole: “Siate affamati. Siate folli”. Era il loro addio, e ho sperato sempre questo per me. Ora, nel giorno della vostra laurea, pronti nel cominciare una nuova avventura, auguro questo a voi."

In questi immensi tempi di crisi, con la disoccupazione in Italia al 10,7% e quella giovanile quasi al 35, credo  valga ancora la pena dar retta a chi, in circostanze floride e di speranza, smise di pensare all’università come a un bene insostituibile (atto di pensiero che tuttora noi ragazzi siamo incapaci di produrre). Ebbe fede nel destino. Ebbe fede in sè.  Queste tre circostanze fecero tutta la differenza.  Nel magma della società che prova a inghiottirci, meritiamo più che mai di seguire noi stessi: è la sola azione, se compiuta da tutti, destinata a cambiare il mondo. Camminando sul filo dello Sbaglio.  In una vita che è un circo senza reti. D’altra parte rischiare gli errori, e pagare per essi, è, più di tutto, indipendenza.                                                              
 E in ogni caso ringrazio, a me questi font piacciono parecchio.

Quando avevo diciassette anni, ho letto una citazione che recitava: “Se vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo, uno di questi c’avrai azzeccato”. Mi fece una gran impressione, e da quel momento, per i successivi trentatrè anni, mi sono guardato allo specchio ogni giorno e mi sono chiesto: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni volta che la risposta era “No” per troppi giorni consecutivi, sapevo di dover cambiare qualcosa.Ricordare che sarei morto presto è stato lo strumento più utile che abbia mai trovato per aiutarmi nel fare le scelte importanti nella vita. Perché quasi tutto – tutte le aspettative esteriori, l’orgoglio, la paura e l’imbarazzo per il fallimento – sono cose che scivolano via di fronte alla morte, lasciando solamente ciò che è davvero importante. Ricordarvi che state per morire è il miglior modo per evitare la trappola rappresentata dalla convinzione che abbiate qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione perché non seguiate il vostro cuore.


Scritto da Martina